BLOG / Il marketing inclusivo per una comunicazione autentica
02 Nov 2022
All’evoluzione nella storia dei diritti umani e della sensibilità di ognuno di noi rispetto a determinate tematiche etiche, si è adeguato anche il marketing. Nasce così il cosiddetto marketing inclusivo, dotato di un approccio alla comunicazione naturale ed autentico che si rivolge a più di un target, andando oltre al genere, orientamento sessuale, etnia, religione.
Esso è fondamentalmente un insieme di strategie che coinvolge e ridefinisce l’intero visual marketing e concept, non limitandosi esclusivamente alle singole campagne pubblicitarie o messaggi. Lo scopo diviene quindi quello di rappresentare la diversità avvicinando al brand anche categorie che prima si rispecchiavano nelle immagini che venivano proposte negli advertising. Si parla quindi di dare voce a categorie come i disabili, minoranze etniche, taglie forti invece di riproporre sempre uomini e donne senza imperfezioni giovani e bianchi.
I brand vogliono adattarsi alle richieste di un pubblico più sensibile ma anche più attento di fronte alla numerosità di scelte che gli vengono proposte quotidianamente.
Pioniere fu Ikea, quando nel 2011 per l’apertura dello store di Catania scelse di utilizzare come volto della campagna due uomini che si tenevano per mano. L’azienda dichiarò di essere “aperti a tutte le famiglie. Noi di Ikea la pensiamo proprio come voi: la famiglia è la cosa più importante. Ed è per questo che abbiamo pensato alla carta Ikea Family”.
Dopo 11 anni e numerose attività di comunicazione inclusiva, lo scorso 17 maggio, in occasione della Giornata Internazionale contro l’Omolesbobitransafobia, IKEA ha lanciato la campagna "Home Pride Home", un vero e proprio appello affinché tutti possano supportare attivamente la comunità LGBTQIA+ e i suoi diritti.
Il rischio, nel momento in cui si vuole utilizzare un approccio più inclusivo, è quello di sfociare nell’ipocrisia: è il caso del green washing per quanto riguarda iniziative ambientali e pink washing per la parità di genere sul luogo di lavoro. Esse rientrano nella pratica del woke washing, secondo cui l’inclusione non rappresenta un autentico valore dell’azienda, ma il tema sociale comunicato viene semplicemente sfruttato dal brand limitandosi ad essere un’operazione pubblicitaria.
Tra gli esempi più eclatanti di woke washing possiamo trovare quello dell’azienda finanziaria State Street, che per la festa della donna commissionò la statua di una bambina, The Fearless Girl, che con aria fiera sfidava il toro di Wall Street. Sarebbe stata sicuramente un’ottima iniziativa, se non si fosse trovata pochi mesi dopo a dover pagare risarcimenti a 300 donne per gender pay gap e 13 impiegati di colore per racial pay gap.
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